Arte figurativa

Una “Cappella Sistina” ad Arezzo?

Nelle liturgie del Natale abbiamo ascoltato la genealogia di Gesù, così come è stata descritta da Matteo all’inizio del suo vangelo. Un esempio visuale di questo testo, e del senso che la comunità cristiana ne ha dato all’interno della storia della salvezza, è costituito dai ritratti degli antenati di Cristo, che Michelangelo ha dipinto nelle lunette della Cappella Sistina tra il 1508 e il 1512. Da Aminadab a Iechonias, da Salatiel a Giacobbe l’artista casentinese ha voluto così simboleggiare l’umanità che attende la nascita di Cristo, vivendo un’esistenza alternata tra l’itineranza e la stabilità domestica.
Il senso di questa attesa è la chiave di lettura di tutto il ciclo figurato sistino già a partire dagli episodi di creazione, e ciò lo si vede, in particolare, nell’episodio della creazione dell’uomo, dove le estremità degli indici del Creatore toccano, come a creare un legame, la figura di Adamo e quella di Cristo, raffigurato come un bambino sotto il braccio potente del Padre (Pfeiffer).
Non molti anni dopo, per la precisione tra il 1520 e il 1526, un artista francese, Guillaume de Marcillat ha replicato lo stesso modello sulla volta della Cattedrale di Arezzo, tanto che il noto studioso Tom Henry ha voluto intitolare un suo saggio: Arezzo’s Sistine Ceiling: Guillaume de Marcillat and the frescoes in the Cathedral at Arezzo (La Cappella Sistina di Arezzo: Guillaume de Marcillat e gli affreschi nella Cattedrale di Arezzo).
Marcillat, alla stregua dello stesso Michelangelo, era un artista eclettico, capace di lavorare con materiali diversi, utilizzando molteplici tecniche: per la Cattedrale di Arezzo aveva già realizzato alcune vetrate (tra cui il bellissimo rosone con la Discesa dello Spirito Santo) e ora gli veniva chiesto di affrescarne la volta, con le storie dell’Antico Testamento. I lavori, come nel caso della Cappella Sistina, si svolsero “di volta in volta” e inclusero nel ciclo figurativo anche le lunette, nelle quali sono raffigurati appunto gli antenati di Cristo.  Tuttavia la rappresentazione di Marcillat differisce da quella di Michelangelo per alcuni fondamentali aspetti: infatti, se Michelangelo aveva scelto di raffigurare le famiglie di antenati, uomini, donne e bambini, Marcillat decise di ritrarre soltanto le figure maschili a partire da quella di Seth, figlio di Adamo, per concludere con Iechonias, nato prima della deportazione in Babilonia.
Se dunque il tema scelto per la volta della Cattedrale di Arezzo e alcuni riferimenti iconografici ricordano quelli della Cappella Sistina, non possiamo non evidenziare alcune notevoli differenze: Michelangelo ha creato ex novo un’architettura illusoria entro la quale inquadrare la narrazione; Marcillat invece, trovandosi a lavorare in uno spazio architettonico fortemente caratterizzato dalle linee gotiche, ha preferito utilizzare la tradizionale partizione degli spicchi di volta per distinguere una scena dall’altra. In questo modo l’artista francese ha ricavato tutto lo spazio necessario per estendere la narrazione oltre la vicenda biblica di Noè, fino alle storie di Mosè, come richiesto dai committenti:

Nella prima volta sono raffigurati la creazione dei due luminari (l’inizio del tempo) e subito accanto la creazione della donna, a cui seguono le vicende della caduta dell’umanità che trovano un epilogo nel diluvio universale. Possiamo dire che, se Michelangelo aveva fatto una sintesi concentrando i racconti dei primi nove capitoli della Genesi in nove scene, Marcillat è stato ancora più sintetico, riservando a queste storie solamente i quattro spicchi della prima volta. Tutto questo ci dice qualcosa di importante intorno all’esegesi del libro della Genesi: che il settenario di creazione sia un espediente letterario per simboleggiare il progetto di Dio sull’umanità lo avevano capito anche gli artisti rinascimentali, ai quali non è interessato replicare esattamente quanto descritto; ad essi è bastato raffigurare uno degli episodi per richiamare tutto l’atto creativo nel suo insieme.

Nella seconda volta Marcillat ha continuato a rappresentare i racconti della Genesi: l’accoglienza di Abramo verso i tre Angeli; il sacrificio di Isacco; il sogno di Giacobbe e la lotta del patriarca con l’Angelo.

La terza volta, l’ultima affrescata da Marcillat (le successive sono state poi realizzate da Salvi Castellucci nel Seicento) è dedicata invece alle storie tratte dal libro dell’Esodo e dal libro dei Numeri intorno alla figura di Mosè: l’attraversamento del Mar Rosso; la punizione dei figli di Core (una raffigurazione inconsueta che però trova un suo parallelo proprio negli affreschi parietali della Cappella Sistina); l’innalzamento del serpente di bronzo e la consegna della Legge.

In conclusione: possiamo davvero parlare di una Cappella Sistina ad Arezzo?
Sicuramente Michelangelo ha ispirato e continua ad ispirare generazioni di artisti, per cui molti possono vantare di possedere qualcosa che ricorda i capolavori del genio casentinese. L’esempio aretino è certamente una delle prime testimonianze di questa influenza michelangiolesca nella produzione artistica dei contemporanei, tuttavia pare che tale influenza si dia solo dal punto di vista formale e che non vi siano legami sul piano del simbolismo che possano aiutare a fare chiarezza sia sull’una che sull’altra opera: entrambe rimangono un unicum da ammirare e apprezzare per ciò che è.

Barbara Bianconi

BIBLIOGRAFIA:
T. HENRY, Arezzo’s Sistine Ceiling: Guillaume de Marcillat and the frescoes in the Cathedral at Arezzo, in «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz» 39 (1995) 2/3, 209-257.
H. W. PFEIFFER, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Milano 2013.