Ogni volta la stessa storia… La storia sacra e le sue sfumature nei cenacoli fiorentini.
Quello dei cenacoli fiorentini è un itinerario noto, tanto che appare persino nella famosa Guida Rossa del Touring Club (cf. Firenze e il suo territorio, Milano 2016, 142-144). L’itinerario porta a scoprire in che modo l’ultima cena è stata raffigurata all’interno di quei particolari luoghi in cui solitamente frati o suore, monaci o monache si trovavano insieme per mangiare; ambienti che una volta erano riservati ai consacrati e che oggi fanno parte di percorsi museali.
In tanti però si saranno chiesti: che scopo ha andare a vedere tutte le volte la stessa storia?
Vi è nella storia sacra un rapporto particolare con coloro che le si avvicinano: non si tratta di “lettera morta” ma di parole vive, in grado di relazionarsi ogni volta in modo diverso con la vita delle singole persone. Non è la storia sacra che cambia, siamo noi che, sperimentando situazioni di vita diverse, ci sentiamo interpellati in modo sempre nuovo.
È con questo spirito che riusciamo a cogliere le peculiarità del messaggio che i pittori tra Trecento e Cinquecento hanno affidato alla raffigurazione dell’ultima cena. Loro stessi si sono resi testimoni di come la Parola non possa mai essere semplicemente illustrata ma debba sempre attraversare la sensibilità di coloro che la trasmettono, come la luce attraversa un prisma affinché possiamo percepirne i colori.
I due affreschi che Domenico Ghirlandaio realizzò negli anni 80 del Quattrocento, uno per il convento di San Marco e l’altro per il refettorio di Ognissanti, pur essendo molto vicini nello spazio e nel tempo, ci mostrano come lo stesso artista abbia tradotto la storia sacra in modo differente a seconda del contesto.
Nel refettorio adiacente alla chiesa di Ognissanti – che all’epoca in cui vennero realizzati gli affreschi non apparteneva ai francescani ma all’ordine mendicante degli umiliati – Domenico Ghirlandaio dipinse l’ultima cena ambientandola in un’architettura rinascimentale, come prima di lui aveva fatto Andrea del Castagno nel cenacolo di sant’Apollonia.
Il Ghirlandaio tuttavia, a differenza del suo predecessore, realizzò un ambiente aperto verso lo spazio di un giardino, rendendo possibile con ciò la percezione che ci si trovi in un piano rialzato, dove effettivamente i vangeli raccontano abbia avuto luogo l’ultima cena di Gesú con i suoi apostoli (cf. Mc 14,15 e Lc 22,12).
D’altra parte la raffigurazione del giardino non ha un fine meramente prospettico o decorativo: vi è un probabile richiamo al giardino genesiaco dove si trovavano «ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare» (Gen 2,9); o ancora al Getsemani quale luogo della cattura di Cristo, avvenuta, come ci raccontano i vangeli, nella notte dopo che Gesú e gli apostoli erano usciti dal cenacolo. All’evento della cattura sembra alludere anche il grande movimento degli uccelli sopra le piante del giardino, nello specifico i rapaci che attaccano i volatili più mansueti (1). Due di questi uccelli si sono introdotti nella stanza e si appoggiano ai davanzali delle finestre laterali: una tortora, animale sacrificale (cf. Lc 2,24) e un pavone, simbolo della resurrezione.
Se guardiamo alla tavola e ai commensali abbiamo come la sensazione di vivere un momento conviviale più che assistere alla cena rituale ebraica, il seder di Pesach celebrato quella sera da Gesú e dagli apostoli (2), il quale pure comprende dei momenti conviviali accanto al rito vero e proprio. Sulla tovaglia sono sparsi frutti e pietanze la cui simbologia rimanda alla passione del Signore.
Molto più contenute sono le espressioni che caratterizzano gli apostoli nel Cenacolo di San Marco, il maestoso complesso dei frati domenicani, dove Ghirlandaio ha ripreso lo stesso schema della coena Domini, aggiungendo però alcuni particolari.
Ad esempio, sopra le teste degli apostoli scorre un fregio con una scritta: «EGO DISPONO VOBIS SICUT DISPOSUIT MIHI PATER MEUS REGNUM UT EDATIS ET BIBATIS SUPER MENSAM MEAM IN REGNO MEO» (PREPARO PER VOI IL REGNO COME IL PADRE MIO LO PREPARÒ PER ME AFFINCHÉ MANGIATE E BEVIATE ALLA MIA MENSA NEL MIO REGNO), frase che riveste l’avvenimento di un valore profetico e proietta il suo significato non solo nel futuro del rito eucaristico ma anche in quello escatologico (3).
In entrambi gli affreschi, sia quello di Ognissanti che quello di San Marco, la figura di Giuda è distaccata dal resto dei commensali e si trova isolata dall’altra parte del tavolo, secondo un’iconografia già diffusa nel Medioevo. Tuttavia nell’affresco di San Marco, Ghirlandaio ha aggiunto la figura di un gatto, il quale sosta dietro alle spalle di Giuda e pare osservare lo spettatore in quel modo che è solito ai felini e che a tratti però può apparire inquietante. D’altra parte non meraviglia che i domenicani (Domini canes ossia i “segugi del Signore”) abbiano voluto che l’effige del loro acerrimo nemico (il gatto) venisse ritratta accanto al discepolo traditore.
Scorrendo veloci il tempo approdiamo alle opere realizzate da Alessandro Allori per il cenacolo di Santa Maria del Carmine e per quello di Santa Maria Novella. Notiamo anzitutto che il tempo ha sciolto le pose e le espressioni.
Nell’affresco di Santa Maria del Carmine, Allori ha utilizzato lo schema tradizionale della lunga tavola rettangolare che separa i commensali dallo spettatore. Il personaggio di Giuda è confuso tra gli apostoli e solo il suggerimento del monaco carmelitano nell’angolo destro del dipinto permette di individuare colui che Gesú ha richiamato con le parole «HIC ME TRADITURUS EST», frase che leggiamo nell’epigrafe sospesa sulla testa di Cristo.
Continuano ad essere presenti le simbologie legate ai cibi e agli animali: anche qui, ai piedi degli apostoli, sono raffigurati due gatti che richiamano insieme il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro.
Tutt’altro che tradizionale è invece lo schema che lo stesso Allori ha escogitato per raffigurare l’Ultima cena in una grande tela da destinare al refettorio domenicano di Santa Maria Novella.
Per adattare la narrazione della storia sacra alle dimensioni del supporto pittorico, Allori ha disposto i commensali intorno alla tavola, conferendo un grande vivacità ai personaggi che si sporgono, si inarcano, si alzano in piedi con veemenza e si inginocchiano. Ai piedi dell’apostolo inginocchiato vi è un piccolo cagnolino con un cartiglio attorcigliato tra le zampe, dove sta scritto: «SI LATRABITIS LATRABO» (SE ABBAIATE ABBAIERÒ). La simbologia del cane, legata all’idea di fedeltà e il piglio minaccioso del motto ricordano l’impeto di Simon Pietro (cf. Lc 22,33) sempre pronto mostrarsi protettivo verso il suo Signore, salvo poi rinnegarlo nella notte più cupa della sua esistenza. Eppure il cane, se si pensa al contesto in cui si trova la tela, rimanda ancora ai Domini-canes e al loro impegno nella difesa del Vangelo.
Allori ritrae il momento in cui Gesú offre agli apostoli il pane ed il calice implicando il dono del suo stesso corpo e del suo stesso sangue. Lo sconcerto del momento passa attraverso gli sguardi degli apostoli. L’unico a non incrociare lo sguardo degli altri è Giuda, chinato a guardare i trenta denari raccolti sul palmo della sua mano, come a voler pesare la logica del possesso in relazione alla logica del dono.
I cenacoli di Firenze menzionati dalla guida Touring:
S.Croce di Taddeo Gaddi (circa 1335);
S.Spirito di Andrea Orcagna (circa 1365);
S.Apollonia di Andrea del Castagno (circa 1445-1450);
Ognissanti di Domenico Ghirlandaio (circa 1480);
S.Marco di Domenico Ghirlandaio (circa 1480);
Convento di Fuligno di Pietro Perugino (circa 1493-1496);
Convento della Calza del Franciabigio (1514);
S.Salvi di Andrea del Sarto (circa 1511-1527);
S.Maria del Carmine di Alessandro Allori (1582);
S.Maria Novella di Alessandro Allori (1584)
Merita di essere menzionata anche l’ultima cena dipinta da Giorgio Vasari tra il 1546 e il 1547 per il convento delle murate a Firenze e che oggi è custodita nel cenacolo di Santa Croce, lo stesso ambiente che ospita gli affreschi trecenteschi di Taddeo Gaddi.
Barbara Bianconi
(1) Rodolfo Papa ha approfondito la simbologia degli uccelli dipinti da Ghirlandaio nei cenacoli e in altre pitture (cf. Domenico Ghirlandaio, Vocazione degli apostoli (affresco 1481-1482) VATICANO, Cappella sistina), interpretando il volo dei rapaci su anatre e fagiani come un’ammonizione verso il fedele, il quale deve star attento a non farsi condurre dal male, a non lasciare cioè che le proprie inclinazioni malvagie prendano il sopravvento (cf. R. PAPA, Ghirlandaio, Firenze – Milano 2014).
(2) cf. Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) 1340. È doveroso sottolineare che non tutti gli studiosi concordano con l’identificare l’ultima cena di Gesú con la cena pasquale ebraica.
(3) Questa sottolineatura ci fa pensare alla preghiera introdotta nella nuova versione del messale, quel «beati gli invitati alla cena dell’agnello» che rimanda alle nozze escatologiche (cf. Ap 19,9).
Fonti immagini: Wikimedia Commons e Web Gallery of Art